Sarò breve:
questo libro è
bellissimo, ha delle illustrazioni super e poi ci sono le lepri che sono troppo
carine. Bellissimo. Ve lo consiglio.
OVVIAMENTE STO SCHERZANDO: non si può essere così brevi
e riduttivi davanti a un albo di questo tipo. Dovete mettervi comodi, perché di
cose da dire, ne ho moltissime, a partire dalla copertina: la Di Giorgio ha ripreso con grande sapienza, lo
stile Liberty (lo chiamo così perché siamo in Italia, ma se preferite
chiamatelo Art Noveau), strizzando l’occhio ai manifesti di Mucha, riassumendo
alla perfezione il concept che sta dietro alla storia. Troviamo al centro il
Signor Lepron, il protagonista, e negli altri elementi possiamo ritrovare i
richiami agli ingredienti della sua celebre zuppa e, come in una catena di
montaggio, gli altri leprotti che trasportano dei fagioli.
Il libro si apre con la classica presentazione e
contestualizzazione del protagonista, come nelle classiche fiabe: “il Signor
Lepron è un lepre bellissimo, pelo lucido e orecchie lunghe…”; si prosegue con la
descrizione delle attività del Signor Lepron, che sono ammirare l’orto dei
contadini e, una volta l’anno, preparare una zuppa di verdure superlativa, alla
cui preparazione partecipa tutta la famiglia di lepri. Ognuno si preoccupa di
procurare un ortaggio, c’è chi porta un fagiolo, chi le cipolle, chi le verze e
così via.
La pietanza, viene cucinata seguendo una sorta di ritualità,
si utilizza una pentola dedicata all’occasione ed è preparata dal Signor Lepron
stesso, che in quel momento non vuole nessuno intorno, perché tutto il
processo, anche se molto semplice, avviene con calma, senza affanni. Infatti,
una volta che la minestra è sul fuoco e inizia a bollire, il lepre si può
accomodare placidamente in poltrona e addormentarsi tranquillo.
Mentre dorme, il Signor Lepron fa sogni meravigliosi che gli
fanno vivere la vita di cuoco dei Re, dove vede orti segreti e misteriosi,
frutteti di cristallo e navi cariche di maionese che navigano in mezzo a budini
circondati di nebbia. Al suo risveglio, la zuppa è pronta e ogni lepre può
averne una scodella, dopo averla bramata per un anno intero.
La zuppa ha un sapore così buono che anche la curiosità dei
contadini, che la assaggiano e restano sbalorditi. Si chiedono quale sia il
segreto, dato che gli ingredienti sono gli stessi che usano anche loro. Rimane
un mistero.
Ben presto anche gli altri animali che vivono nei pressi
dell’orto, vengono ad assaggiare la zuppa: è così buona che inizia a diventare
famosa, tutti ne parlano e vogliono provarla, anche il postino e la panettiera;
via via i curiosi arrivano da tutte le parti della Regione e poi del Paese, fino
ad arrivare all’attenzione di tutto il mondo! La tana delle lepri inizia ad
essere veramente affollata: nei pressi vengono sistemati tavoli che sono
costantemente occupati da curiosi, turisti e critici gastronomici.
Il successo e la fama, arrivano intensi e inaspettati, anche
perché non erano stati ricercati dal Signor Lepron, che malgrado tutto, decide
di sfruttare la situazione a suo vantaggio: visto che la sua zuppa è desiderata
da tutti, un bel giorno decide di aprire lo stabilimento Lepron, dove la zuppa
verrà prodotta senza sosta, notte e giorno, per essere messa in lattina e
venduta in ogni angolo del mondo.
Una folta schiera di lepri operaie, inizia a lavorare a
ritmi incessanti, con la supervisione del Signor Lepron. I negozi vengono
presto forniti e, oltre alla classica versione della zuppa, le lepri iniziano
anche a produrre zuppe per tutti i gusti: quella al finocchietto selvatico,
quella al pomodoro, quella ai funghi, e così via…
Tutto sembra andare a meraviglia: la gente ha quello che
vuole, gli affari vanno a gonfie vele e il signor Lepron non ha altro da fare
che mettere il sale nei pentoloni e continuare a sognare Re, Regine e divinità
dell’Olimpo che impazziscono per la sua famosa zuppa.
Le richieste però, continuano a crescere e produrre la zuppa
richiede un ritmo sempre più serrato e incalzante: ecco che nei sogni del
Signor Lepron, iniziano a comparire strani pesci, streghe che fanno il bagno in
paludi di zuppa e altre situazioni bizzarre. Via via che il tempo passa, anche
il sonno del lepre si fa sempre più agitato, i sogni si fanno sempre più
inquietanti e tutto si riflette sulla qualità del lavoro. Si iniziano a fare
degli errori e i clienti iniziano ad avere delle perplessità.
I sogni diventano incubi costanti, la gente inizia a mettere
in giro voci sullo stabilimento Lepron e così, stanco e alienato, il lepre
decide di andare in pensione e cessare l’attività. La notizia fa il giro del
mondo e la gente impazzisce: nessuno vuole restare senza la zuppa Lepron e si
corre a fare incetta delle rimanenze nei negozi. Il telefono dello stabilimento
non fa che squillare, ma nessuno risponde: il Signor Lepron e la sua grande
famiglia, hanno deciso di chiudere per sempre. Ora sono felici e impegnati a
giocare e saltellare nei campi, godendosi la vita.
Nessuno mangerà mai più la famosa zuppa? Qualcuno ancora si:
una sola, magica, volta all’anno il Signor Lepron, insieme ai suoi cari, andrà
a scegliere le migliori verdure nell’orto, le metterà a bollire in quella vecchia
pentola e preparerà la zuppa senza avere nessuno intorno, facendo bellissimi
sogni.
La storia di Giovanna Zoboli, è assolutamente ben scritta,
ben pensata e c’è una straordinaria coerenza tra il testo e le illustrazioni
della Di Giorgio. Sicuramente ci troviamo davanti a un libro che si presta a
più livelli di interpretazione, ma credo che il nodo fondamentale sia una
profonda riflessione sui tempi moderni e sul loro rovescio della medaglia.
L’industrializzazione e la produzione in serie, hanno
sicuramente portato numerosi vantaggi all’umanità, crescita economica e
“democrazia”: io oggi, con poche migliaia di euro, posso recarmi in una catena
di mobilifici e arredare al completo una casa. Nei tempi andati, con lo stesso
budget, avrei forse potuto comprare solamente uno o due pezzi di mobilio, fatti
da un artigiano e con materiali pregiati. Certo possiamo avere tanto e a poco,
ma a cosa dobbiamo rinunciare in cambio? Non ci sono risposte semplici e
immediate e non possiamo certo tornare all’epoca precedente alla rivoluzione
industriale! Possiamo però fare delle riflessioni, che in fondo è quello che ci
invita a fare questa lettura.
La zuppa Lepron ha un ingrediente speciale che non si può
raccogliere nell’orto, né trovare al supermercato: è l’unicità. Un valore che va preservato ed
elevato, in tempi in cui ogni cosa è riprodotta in “ serie” ed esaurita in
breve tempo. Un concetto che spesso, viene applicato agli oggetti, alle idee,
alla bellezza, alle persone. E’ la cultura dell’”usa e getta”, dove quello che
costa poco, dura anche poco e che spesso, non richiede una cura, perché non è
prevista una durata nel tempo.
Viene da fare anche una riflessione su quelle che sono le
apparenze e di come spesso, le persone siano più attratte da una confezione, da
una vetrina, dai grandi numeri e dalla “fama”, piuttosto che dal contenuto e
dall’essenza delle cose. La zuppa del Signor Lepron, non era più così deliziosa
e simile all’originale, eppure dopo la chiusura dello stabilimento, tutti l’hanno
voluta ancora più intensamente. Perché? Desideravano una zuppa dal sapore
mediocre o perché volevano un pezzo del famoso
“nome” Lepron? Lo possiamo vedere anche nella nostra realtà: viviamo nell’epoca
degli influencer, dove i meriti e le competenze vengono misurate in “follower”
e visibilità non per qualità, spessore culturale o concretezza.
La zuppa aveva un
sapore delizioso e unico quando veniva preparata nella discrezione della tana,
forse perché veniva cucinata con dedizione, con passione e per essere condivisa
con affetto. Quando veniva prodotta meccanicamente e in grandi quantità,
quell’autenticità è andata perdendosi ed è qui che dovremmo soffermarci.
Nel libro “La Zuppa Lepron”, ho rivisto (ma questa è una mia
personalissima opinione) la filosofia e le idee che stavano alla base del
movimento “Arts & Crafts” di fine Ottocento e quello della Bauhaus (nei
primi decenni del Novecento). Realtà che ha cercato di combattere la
meccanizzazione dei sistemi di produzione, progettando e producendo arredi e
manufatti artigianali con particolare cura e ricerca artistica e tecnica. Trovo
curioso (e bellissimo) che la copertina de “La Zuppa Lepron” strizzi l’occhio
all’ Art Noveau, un movimento artistico nato a partire appunto dall’ Arts e
Crafts e quindi da William Morris, che fu particolarmente coinvolto nell’idea
di preservare l’unicità e la bellezza
negli oggetti di uso quotidiano. Erano gli anni in cui la famosa sedia Thonet
n.14, spopolava nei bistrot, dimostrando che anche nella riproduzione in serie,
poteva esserci un grande spazio per la ricerca estetica.
![]() |
"La Zuppa Lepron" di Giovanna Zoboli e Mariachiara Di Giorgio (Topipittori 2022) |
Non ho ancora finito…
Vogliamo parlare delle illustrazioni di Mariachiara Di
Giorgio? Non a caso ha recentemente vinto il Premio Andersen 2022 come
“migliore illustratrice” (un altro bellissimo libro illustrato da lei di cui
abbiamo parlato qui sul gruppo è “A mezzanotte”). Sfogliando il libro e
leggendo di apri passo il testo, ci rendiamo conto come le illustrazioni,
riescano a rafforzare ulteriormente il racconto, con una grande ricchezza di
particolari in cui è piacevolissimo perdersi. Il dinamismo e l’anatomia delle
lepri, sono strabilianti e, spessissimo, non mancano dei tagli cinematografici
di grande effetto, con un abile uso della profondità di campo; la Di Giorgio in
questo è mostruosamente brava e non manca mai di infilarci un pizzico di ironia.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, capirete
perché questo gioiello, non si può ridurre a un “bello, mi è piaciuto!” e che,
ovviamente, lo considero uno dei miei personali “imperdibili”.
[recensione scritta da Alice Maggini per l'"Orto dei libri" 2022]
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